domenica 29 marzo 2009


Bianca la cagna da pastore
stanca di anni distesa
nel mezzo della sala
abbaia non convinta
e non si leva se entro
dove ancora è sentore di operai
comunisti ancora fedelmente e orgogliosamente ancora io borghese
per ridisporre libri polverosi che narrano
storie operaie tradite;
fiera però ancora anche
nel tradimento, sconfitta
anche nella vittoria; speranza, sì, è una cagna
tu scrivevi Fortini, ma umile e grandiosa
se speranza di umili e non grandiosi umani, operaia,
o in agonia ancora
comunista di un riscatto
che poteva anche essere
anarchico e non fu
già morto ma già vivo di un Partito scomparso
che mai fu mio
di cui una traccia resta
oscura e luminosa nella polvere d’anni che anneriscono le dita
di chi dispone in un ordine nuovo
volumi quasi
dimenticati di vecchia scuola di Partito che dava
dignità anche forse bugiarda
all’operaio cui il nemico
di classe non dava ma toglieva
soldi al lavoro duro
e dignità che oggi ancora toglie più feroce dopo il crollo
del muro che non doveva sorgere
e non doveva cadere.

Borghese nella sala
entro di un tempo
passato più veloce di una luce
e il prima il dopo l’adesso si confonde;
non domanda la cagna stanca d’anni
sbadiglia alla speranza, ma chi sbagliò
nel tempo senza tempo di una storia
che si addipana e veloce
indietro nel velocissimo salto spazio temporale
e qui o altrove;
è forse il paradosso dei gemelli se entro
borghese non più giovane ma borghese più giovane
nel tempo umano operaio
e si confonde
si dilata e si accorcia
nel vortice di storia e di natura
tra questi libri che con pigro lavoro
ripongo al posto giusto e resta il libro intatto intatta l’esegesi
di scuola di Partito che il tempo e gli anni luce
non ancora cancella ma cancella
se Marx tra polveri, se Engels, se Lenin, se Stalin,
se Gramsci, Togliatti, se anche Rosa Luxemburg,
non Trotzskij, non Bakunin che il Partito non volle
nella rigida scuola vera e bugiarda
che dava dignità e la toglieva
di operai anche oggi borghesi anche ieri
nel non interrogato.
Libri che sono toppe che mettiamo, fu errore culturale
e politico poi che sfidò cieco
natura, la chimica, il genoma
e ancora è errore e ostinato insiste
diverso e uguale nel rosso che diventa arcobaleno,
ameni inganni di indaco violetto giallo arancione
cancellano la storia, anche operaia,
e passato e futuro;
e il presente è ancora la parola bugiarda delle democrazie
che Lenin capì e che dimenticammo.

Tu dici Pasolini, Vendola, lui di muffe cattoliche
e tu ancora e libri d’altre muffe uguali
che con cura sistemo
e qualche ripulsa:
“piange ciò che muta anche per farsi migliore”
il bellissimo vero falso verso di un poeta amato ma parola consunta,
ché la parte migliore non esiste
e imperturbata torna la bugia
di pietosa arroganza
che l’umano a se stesso ripete da se stesso; l’opuscolo esegetico
di scuola di Partito che metto
nello scaffale in alto a destra ha almeno
un vero dentro l’odio
di classe che solo può salvare che non salvò nessuno;
e tutto ancora si confonde ancora
torna il vortice ancora
tornano i quanti gli acidi il genoma
e tutto velocissimo precipita
il tempo sopra il tempo che rallenta veloce
nella luce che acceca
e i colori confonde. Si perde il rosso
nell’inganno borghese
di astuti sentimenti.
E ancora
il Capitale vince.

Ma viene la fanciulla,
sorride e inconsapevole
dal vortice mi trae qui mi riporta, ai libri che ripongo
negli scaffali di metallo grigio freddo invecchiato;
la cagna non abbaia e quasi si addormenta
tra umani irrequieti
e libri ammutoliti e tu corposo Franco
che metti le belle bandiere
e ostinato di quasi ottanta anni sali sulla scaletta traballante
incurante all’incerto, e sì, anche simbolico, equilibrio
io piccolo borghese
quasi fanciullo alla tua storia ascolto operaia che tu racconti, forse anche verboso,
di partigiani periferie borgate
e pane scarso nel ’44 (io appena nascevo)
ti dico con rispetto
che la bandiera è rigida
identità militaresca marcia
e se la stracceremo Franco dentro di me di te dentro di noi
un giorno troveremo (o troveranno) forse
il vero arcobaleno
di un comunismo gaio e di anarchia
se prima o dopo del diluvio o mai.


Questo scrissi in una settimana delle tante
nella quattordicesima galassia XZ7 detta Via Lattea e lessi
in via di Castelforte
nel Circolo della Rifondazione Comunista civico quattro quartiere prenestino
nel quindicimiliardesimo anno dopo il Grande Scoppio
una sera.


Ugo Lanzalone